Resta da vedere se l’arresto del procuratore del procuratore speciale, Saša Čađenović, avrà sul Montenegro lo stesso effetto dell’arresto dell’ingegnere Mario Chieza a Milano 30,5 anni fa sull’Italia. Questo è stato il momento clou dell’azione giudiziaria di “Mani pulite” che ha spazzato via dalla scena politica la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista Italiano, che hanno governato l’Italia per quasi mezzo secolo, e ha seppellito la Prima Repubblica spalancando le porta per la Seconda Repubblica e una fase politica ben diversa. A causa delle reazioni indirette dei resti del precedente regime, si ha l’impressione che l’apertura del processo contro Čađenović sia il momento in cui la storia cambia, cioè determina la sua direzione futura.
Naturalmente, oltre alla loro professione, Chieza e Čađenović si differenziano anche per i reati di cui sono stati o saranno accusati. Corruzione nel primo caso, criminalità organizzata nel secondo, ma chissà fin dove ci porterà l’inchiesta. La somiglianza sta nel momento catartico che hanno vissuto la società italiana di un tempo e il Montenegro di oggi, e ci sono punti di contatto tra l’ex procuratore italiano Antonio Di Pietro e il procuratore speciale Vladimir Novović – il primo aveva 42 anni quando scrisse “Mani pulite”. fondato”, quest’ultimo ha assunto la guida della SDT all’età di 43 anni.
Ci ricorda irresistibilmente lo stato che può essere evocato dall’osservazione di Gramsci che “il vecchio muore e il nuovo non può nascere”. I partiti al potere da decenni – non per niente la Democrazia cristiana è apostrofata come la “balena bianca” e il leader socialista Bettino Craxi come Gino di Tacco (la versione italiana di Robin Hood) – hanno avuto numerose metastasi di ogni genere di corruzione e di legami con la criminalità organizzata, che si sono diffusi nei decenni congelati al potere ma ancora al potere per inerzia, ignari che il Muro di Berlino era caduto e che il Partito Comunista Italiano non veniva più “denunciato” a Washington e a Bruxelles , il che significa che c’era un’alternativa credibile.
Čađenović potrebbe non essere la Chieza montenegrina, nel senso che sarà lui che da ieri deciderà di lavorare con i suoi colleghi e raccontare tutto quello che sa, guadagnandosi lo status di collaboratore e tutti i benefici che ne derivano. Tuttavia, molto più dell’ex presidente della Corte suprema Vesna Medenica, del presidente del tribunale commerciale Blaž Jovanić o degli agenti di polizia, il suo arresto mina la narrazione secondo cui il precedente regime trentennale è ancora compatto, solido e pronto a volgere la situazione a suo favore man mano che la situazione sorge il Tempo.
Siamo entrati in un momento molto drammatico. I leader del DPS perdono credibilità e influenza tra i loro fedeli “soldati” di lunga data. Con ogni nuovo arresto, ogni nuova vicenda, dall’alloggio alla corruzione all’abuso d’ufficio, all’odio e alla convinzione di essere corone intoccabili. Basta che uno di loro, come Chiesa, che è stato esponente di spicco della sezione milanese del Partito socialista italiano di Craxis, parli, e l’intera struttura, costruita in tre decenni, potrebbe crollare come una casa di carte. Gli altri testimoni sono come le ciliegie, uno tira l’altro.
I pubblici ministeri montenegrini hanno bisogno di qualcuno come Chiesa o come Tommaso Bušeta per disegnare l’interno della cupola sotto la quale il Montenegro ha resistito negli ultimi decenni: da qualche parte forniranno prove o dimostreranno, da qualche parte spiegheranno le dinamiche, che non sempre sono quelle di l’esterno più chiaro, ma sono fondamentali per l’emergere del quadro generale.
Il DPS cerca di guadagnare tempo mantenendo il Montenegro in un triplo blocco. Il presidente Đukanović non vuole dare il mandato a formare un governo al candidato della maggioranza montenegrina Miodrag Lekić, i deputati del DPS impediscono l’elezione dei giudici della corte costituzionale con l’SDP, l’SD e il partito bosgnacco, e Ivan Vuković usa ricorsi procedurali con la corte costituzionale per prendere il potere a Podgorica non essere consegnato, e sono passati quasi due mesi dalle elezioni locali.
I leader del precedente regime sono consapevoli di non avere il sostegno della maggioranza dei cittadini montenegrini e poiché non possono più manipolare le liste elettorali, gli elettori turistici dall’Europa e dai paesi vicini e non possono controllare la maggior parte dei media, non hanno un minimo Possibilità di tornare al potere attraverso le elezioni. Tra l’altro, per la capacità di formare coalizioni, che nonostante i tentativi di isolare il DF e conquistare altri partiti, i sostenitori di lunga data dei Democratici non stanno ancora buttando via per Europe Now.
Pertanto, stanno cercando con tutti i mezzi di persuadere i loro partner nell’UE e nella NATO a spianare loro la strada per tornare al potere, diffondendo il timore della presunta influenza maligna di Belgrado e Mosca, ovvero che il Fronte Democratico sia la quinta colonna di Serbia e Russia in Montenegro, e i democratici, evviva e l’Europa ora sono come bambini incantati dal “Flauto di Hamelin”, recitava il Fronte democratico, conducendoli tra le braccia di Serbia e Russia. I paragoni tra il Montenegro e l’Ucraina e la Serbia e la Russia escono da questo vaso di propaganda, giocando sulla proverbiale conoscenza superficiale dei leader dell’UE e degli Stati Uniti sulla situazione balcanica e sulle reazioni condizionate per schierarsi con gli oppositori di Mosca.
È significativo che la rappresentazione della Serbia come fattore anti-occidentale e la sua maligna associazione con la Russia sia pienamente coerente con la narrativa che Pristina sta diffondendo per assicurarsi la posizione più favorevole nei negoziati con Belgrado sul futuro del Kosovo. D’altra parte, il regime di Aleksandar Vučić, con i suoi tratti ambigui, rende credibili tali storie in parte, non per il suo riavvicinamento con la Russia, ma perché vuole consolidare un regime autoritario sulla falsariga di Orbanov in Ungheria o di Erdogov in Turchia da diverse tabelle allude, incluso il russo.
Lo scopo della propaganda del DPS è di influenzare i partner occidentali in modo che i Democratici Ura ed Europa rinuncino ora alla cooperazione con il DF in nome del “presunto” percorso europeo del Montenegro. Le vere ragioni sono completamente diverse. Il calcolo del DPS è che con l’annuncio delle elezioni si formerebbe un governo tecnico che le prepari e in cui il DPS, in quanto gruppo parlamentare più forte, avrebbe la maggiore influenza. L’affermazione o anche solo l’apparenza che il DPS sia ancora in gioco sarebbe un segnale agli indagati di tenere la bocca chiusa e di non collaborare con i pubblici ministeri e attendere il momento opportuno per metterli alla prova in un modo o nell’altro per ottenere un altro eliminato per difficoltà procedurali. Tanto più quando sono riusciti a isolare DF sulla scena politica come una “longa manus” russa.
Le tattiche utilizzate dal DPS e dalle sue ONG aderenti, che sono una sorta di ala civile per dare credibilità europea al DPS, avrebbero potuto funzionare meglio se non avessero trascurato una cosa: in senso figurato, a cosa è servito il crollo del muro di Berlino scena politica italiana, per il Montenegro una svolta nella politica statunitense nei Balcani, ovvero la lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione. La Russia rimane il nemico numero uno di Washington nei Balcani, ma adottare una posizione retoricamente propagandistica antirussa ed europeista non è più sufficiente per giustificare i legami con la criminalità organizzata e la diffusione della corruzione, sia come corruttori che come corrotti. La dottrina di lunga data della politica di tolleranza americana “il nostro bastardo” non si applica più, almeno non nei Balcani. Inoltre, l’Europa non è ora solo un’alternativa credibile al DPS, ma anche al DF.
La storia in Italia si è conclusa con la scomparsa di tutti i partiti politici che esistevano sulla scena politica della Prima Repubblica. I politici più potenti sono finiti in lunghi processi – Giulio Andreotti, che è stato presidente del Consiglio o ministro per 40 anni, è stato escluso dal carcere per collaborazione con la mafia – e Bettino Craxi è morto latitante in Tunisia. È nata la Seconda Repubblica, così come potrebbe nascere la Seconda Repubblica Montenegrina, perché a parte il DPS, poche persone sono soddisfatte di quella del 2006.
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