Notizie | Si è raggiunta la distopia post-apocalittica

★★★★ Il mondo come lo conosciamo non esiste più: la società sta crollando e non c’è ordine né regole. Un virus ha devastato il pianeta, uccidendo gli adulti. I bambini vivono in branchi selvaggi, litigando per i pochi resti commestibili che giacciono in giro. Sono immuni fino alla pubertà, quando iniziano a subire le conseguenze della “rossa” (rossa), così chiamano le macchie che provocano la febbre e alla fine la morte. Allo stesso tempo, la natura si riprende ciò che un tempo le apparteneva, soffocando le città con la sua vegetazione.

È questa l’inquietante premessa di “Anna”, il bestseller letterario dell’italiano Niccolò Ammaniti (1966) che lo stesso scrittore ha trasformato in una miniserie televisiva in sei episodi che ora è possibile vedere su AMC. La distopia post-apocalittica suona come una profezia, soprattutto considerando che risale al 2015, quando non c’era traccia della pandemia di Coronavirus.

La trama si svolge nell’isola italiana della Sicilia, dove Anna (Giulia Dragotto), una ragazza di 13 anni che ha visto tutto scomparire quattro anni fa, si prende cura del fratellino Astor (Alessandro Pecorella), gli insegna a leggere, e segue le istruzioni nel quaderno con la copertina marrone che la madre le ha scritto sotto il titolo “Le cose importanti”, in cui ha annotato istruzioni utili per sopravvivere. C’è una leggenda di antichi sopravvissuti nel continente, stanno preparando una cura e si tratta solo di resistere fino al loro arrivo. Ma il tempo stringe, la giovane decide di intraprendere un viaggio a Palermo e poi a Messina, con l’obiettivo di attraversare lo stretto e trovare un modo per salvarsi. Nonostante un viaggio disseminato di insidie ​​e avventure in questo universo senza speranza, l’adolescente trova sempre un modo per andare avanti. Fino a quando Astor non viene rapito da una tribù di ragazzi che si fanno chiamare “il blues”.

Per i lettori che amano la letteratura, è facile tracciare parallelismi, per cattiveria umana, con il celebre romanzo “Il signore delle mosche” (1954) del britannico William Golding, e anche, per l’importanza del viaggio, con ” The Road” (2006) dell’americano Cormac McCarthy.

Caratterizzato da giovani talenti, che portano verità alla storia, la proposta ha una mancanza di acutezza estetica che gioca a suo favore, quasi come se fosse un documentario, e non possiamo che biasimarlo, a differenza degli adattamenti che danno la sensazione di essere stati allungato, qui Ammaniti ha incluso troppo in pochi capitoli. Tuttavia, come intrattenimento, ne vale la pena.

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Drina Piccio

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