I giornalisti italiani inviano una lettera aperta: Questo non è un reportage, questa è propaganda

Roma – Corrispondenti di lunga data dei maggiori media italiani hanno inviato una lettera aperta contro la propaganda mediatica italiana sul conflitto in Ucraina.

Fonte: Sputnik

EPA-EFE/PIOTR NOWAK POLONIA FUORI

“Non è più reportage, è propaganda”. Guardando la televisione e leggendo i giornali che parlano della guerra in Ucraina, ci siamo accorti che qualcosa non va, che sta accadendo qualcosa di brutto”, undici celebri inviati di guerra dei principali media italiani (Corriere, Rai, Ansa, Tg5, Republika, Panorama, Sole 24 ore).

“Sappiamo davvero cos’è la guerra, abbiamo raccontato dal fronte, siamo stati bombardati, alcuni nostri colleghi e amici sono morti”, hanno detto Massimo Alberici, Remigio Beni, Tony Capuozzo, Renzo Cianfanelli, Cristiano LaRuffa, Alberto Negri, Giovanni Porzio, Claudia Palude, Vanna Vannuccini e Angela Virdo.

“E’ per questo, spiegano, che non ci piace come viene presentato oggi il conflitto in Ucraina”. Siamo inondati di notizie, ma nella rappresentazione mediatica le parti in conflitto sono divise indiscriminatamente in buone e cattive. Anzi, molto bene e molto male”, notano i firmatari.

“Viene attribuito solo il pensiero dominante e chi non la pensa così viene chiamato amico di Putin e quindi, in un certo senso, corresponsabile dei conflitti in Ucraina”. Ma non è così. Bisogna capire che la guerra suscita interessi che non vengono rivelati al grande pubblico. La propaganda ha una sola vittima: il giornalismo.

«Perché penso di sì, la gente mi chiama amico di Putin», spiega Massimo Alberici, corrispondente del Corriere del Afrique da più di vent’anni.

“Ma di Putin non mi importa: sono preoccupato come giornalista, perché questa guerra sta distruggendo il giornalismo”. Il resoconto del conflitto da parte dei media italiani, sostiene, si basa su “informazioni unilaterali fornite da fonti considerate ‘autorevoli’ a prescindere dai fatti”.

L’esempio più eclatante è il presunto attacco russo al teatro Mariupol, in cui il resoconto non verificato del massacro “ha pugnalato l’opinione pubblica nelle viscere” e l’ha indirizzata verso un sostegno acritico al riarmo. Non è più informazione, è propaganda. I fatti vengono soffocati da un concerto di opinioni, e chi si informa leggendo qualche giornale al giorno non può capire niente».

Arduino Genovese

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